Progettare casa come spazio narrativo

Per molti anni abbiamo attraversato le strade dell’arte, allestendo mostre e individuando nuovi percorsi di senso, affinché un’opera potesse entrare non solo nello sguardo ma anche nella storia del suo fruitore. Creare una connessione che fosse più di un’esperienza estetica è sempre stato il nostro obiettivo.

Con il tempo ci siamo resi conto che trasfondere il nostro approccio artistico nell’architettura, creando spazi narrativi, come veri e propri palcoscenici di senso, esaltava non solo le nostre competenze eterogenee, come studio di interior design, ma soprattutto creava ambienti al confine tra funzionalità e arte in cui le persone riscoprivano, o lasciavano emergere, una identità più ampia, multiforme, esattamente come accadeva per l’opera artistica.

 

Su questa via, nasce l’incontro con Luna e Giuseppe, una splendida coppia con un bambino piccolo e che con l’arrivo di un nuovo membro ad allargare la famiglia, guardava all’espansione e ottimizzazione del proprio spazio vitale come una necessità e, al contempo, un piacere da condividere proprio in quel momento perfetto di vita.

 

Con loro abbiamo fatto un viaggio costruito innanzitutto sull’ascolto, del detto e del non detto, intessendo una relazione ricca di sfumature, in cui dare e ricevere hanno trovato un raffinato equilibrio. Hanno fatto capolino, la danza, l’Oriente e le sue suggestioni lineari, è emerso il bisogno di spazi funzionali e la sete di luce.

 

La casa pure ha detto la sua. Un appartamento degli anni ’70 che, con alcune sue caratteristiche, come il marmo bianco di Carrara, si è affacciato nel nostro immaginario fondendosi con l’idea emergente del nuovo progetto. Ed è curioso come la stessa casa con tutta questa luce si integrasse parzialmente anche, in modo naturale, con le richieste di Luna, la proprietaria.

 

Una casa non è mai scelta solo per ragioni evidenti e razionali, crediamo che la scelta, quando è quella giusta, segua una risonanza profonda e impalpabile che anima questo movimento. Un’armonia naturale che crea “riconoscibilità” tra le persone e l’ambiente.

 

Ecco perché quando si entra in una casa “si può cominciare a progettare solo dopo aver compreso il contesto”, nella semplicità e chiarezza delle parole di Michael Anastassiades, designer di Flos e papà delle originali e minimali sfere di luce bianca IC che sono andate ad illuminare l’appartamento, c’è la sintesi anche del nostro esserci e progettare.

 

É nato così un luogo centrale, sacro e profano, da cui tutto si dirama: un ampio ingresso con una rifinita boiserie in legno dalle venature verdi-blu a tutta parete, al confine tra teatro kabuki e stilemi anni ’70, in cui si nascondono spazi di servizio e si aprono passaggi alla zona notte e alla zona giorno.

 

La casa si svolge intorno a questo palcoscenico essenziale e vitale, illuminato da fonti di luce integrate al soffitto che amplificano, esaltandolo, il bianco del pavimento in marmo presente in tutta la zona giorno e replicato, nelle pareti verticali, anche nel bagno padronale.

 

Al centro della boiserie, un sentire definito, ci ha portato ad immaginare e inserire un grande specchio tondo che non solo dilata lo spazio, sottolineando a contrasto le geometrie della sala, ma che incamerando la luce, ne proietta un ampio fascio verso l’entrata bianca riflessa, quasi fosse la “luna” a illuminare il cammino di chi attraversa la porta di casa.

 

Progettare non è certo, quindi, solo un fatto mentale, è un accordo di istinto e sapienze tecniche, intuizioni e risonanze capaci di accogliere e integrare organicamente tutti quegli “elementi” visibili e invisibili, più o meno evidenti, da cui parte, e a cui torna, la narrazione dello spazio e delle persone che lo abitano.