Una mostra “necessaria”, questa di Cattolica nel cinquecentesimo anniversario della morte di Raffaello, per restituire allo sguardo il diritto di conquistare la bellezza.
E’ nel particolare – ciò che viene isolato senza perdere di vista l’insieme – e soprattutto nel dettaglio – ciò che viene “tagliato” dall’insieme – che lo sguardo fa il suo affondo nella bellezza.
Una mostra, questa di Cattolica tematica: i dettagli sono stati tratti dall’abbigliamento delle figure: merletti, ricami, gioielli, cappelli, capelli, veli, colori sfilano accanto al visitatore che si trova a percorrere la passerella che lo conduce al tempio collocato al termine dello Sposalizio della Vergine, recante la firma: Raphael Urbinas.
Il tocco dello stilista si rivela negli accessori, dettagli indispensabili, dotati di vita propria che restituiscono anche all’abbigliamento più anonimo il desiderio incondizionato della bellezza.
Ma perché la bellezza viene definita da Dostoevskij nei Fratelli Karamazov : “una cosa tremenda” e da Rilke nella Prima Elegia Duinese: “La bellezza non è che il tremendo al suo inizio”.
L’aggettivo “tremendo” è il gerundivo latino del verbo tremare. La bellezza nella sua tensione di assoluto fa tremare e talvolta morire.
C’è un quadro tra quelli esposti che si riferisce all’Estasi di Santa Cecilia, che nasconde una forza potenziale di morte, il quadro che uccide. Ecco il racconto riportato nella pagina di Daniel Arasse. “Raffaello, da Roma aveva indirizzato la Pala di Santa Cecilia a Francesco Francia, pittore in Bologna, pregandolo, prima di porla nella Cappella cui era destinata, “ se ci fusse nessun graffio che e’ l’acconciasse e similmente conoscendoci alcuno errore come amico lo correggesse”. In tanta modestia si riconosce la grazia del principe dei pittori. Sfortunatamente, l’effetto del dipinto sul povero Francia fu catastrofico : “Fece con allegrezza grandissima ad un buon lume trarre della cassa la detta tavola. Ma tanto fu lo stupore che e’ ne ebbe e tanto grande la meraviglia che si accorò di dolore e fra brevissimo tempo se ne morì”. L’effetto descritto dal racconto vasariano permette di classificare i diversi piani sui quali ormai si esercita il prestigio della pittura. “Mezzo morto per il terrore e per la bellezza della pittura che era presente agl’occhi, et a paragone di quelle che intorno di sua mano si vedevano”, Francia coglie la precisione dettagliata del dipinto che contribuisce all’effetto provocato.
L’effetto di terrore “sprigionato dalla bellezza di Santa Cecilia, appartiene a un ordine che più tardi verrà definito “sublime”. Questa bellezza si situa sul confine estremo della rappresentazione, per cui, secondo Vasari, “è nel vero che l’altre pitture, nominare si possono, ma quelle di Raffaello cose vive”. Integrata profondamente nella cultura intellettuale e artistica del tempo, l’opera di Raffaello raggiunge l’effetto di “cosa viva”, mediante quella che potrebbe definirsi una minuziosa suggestione, fondata sull’esecuzione infinitamente dosata del dettaglio della rappresentazione”.
Francesco Francia non è la sola vittima artistica della bellezza: una morte famosa è quella del pittore Bergotte, ricordato da Proust nella Recherche, davanti alla “piccola ala di muro giallo” della Veduta di Delft di Vermeer. La morte è stata procurata dalla perfezione irrangiungibile di quel dettaglio.