Miracoli a Milano, Carlo Orsi fotografo
Non deve essere stata impresa facile scegliere cosa esporre tra i tantissimi scatti dell’archivio ricco e interessante di un fotografo, anzi di un semplice artigiano, come voleva essere definito Carlo Orsi, milanese di nascita, vissuto negli anni in cui Brera, tra i tavolini del bar Jamaica, accoglieva artisti, poeti e scrittori.
Un artigiano che inizia a lavorare giovanissimo come stampatore, per poi diventare collaboratore di Ugo Mulas e che di sé dirà “Morirò col negativo nella pellicola”, una dichiarazione d’amore per il suo lavoro e per quella fotografia analogica, che giudicava insostituibile.
Centoquaranta scatti, allestiti sulle pareti di Palazzo Morando, nella mostra Miracoli a Milano, raccontano un approccio straordinariamente versatile: Orsi fotografava tutto ciò che poteva, sempre con la gioia però di mettere al centro, più che l’oggetto ritratto, la fotografia stessa e la bellezza di un’idea.
Le quattro tonalità autunnali ed eleganti delle pareti dividono le sezioni senza disturbare il rigoroso bianco e nero che il fotografo considerava l’unica scelta possibile, perché consentiva all’immagine di imprimersi nella memoria senza le distrazioni superflue dei colori.
Milano con la sua storia e nel suo continuo divenire si staglia felicemente su un blu petrolio che sembra perfettamente intonato all’atmosfera cittadina in cui ci si immerge nelle prime sale. Una città sicuramente amata da Orsi, che la rappresenta in tutte le sue bellezze e contraddizioni. Luci e ombre, come le due immagini accostate della piazza della stazione Centrale vista dall’alto, mentre su di essa incombe l’allungarsi dell’ombra del Pirellone, e quella altrettanto suggestiva del contrasto di luce bianca riflessa dal Palazzo della Borsa con l’ombra della famosa opera-provocazione di Cattelan. Un’ironia sottile emerge nell’accostamento di due scatti che, a un primo sguardo, sembrano simili per le file di persone che ritraggono ma avvicinandosi, si svela tutta l’amarezza del confronto: una fila è in attesa dei saldi mentre l’altra sono persone che aspettano di entrare alla mensa dei poveri.
Un raffinato bordeaux scuro accoglie gli scatti di moda e pubblicità, dove si respira un senso di leggerezza e audacia creativa. È quel pizzico di gioco e di sfida che traspare da immagini come una sedia di design posizionata in equilibrio su un tetto, o una sdraio che affiora nell’acqua alta di Venezia. Al verde scuro, invece, si affidano i racconti dei viaggi e dei reportage: luoghi dell’anima e istanti iconici, come la suggestiva serie dedicata alla caduta del muro di Berlino. Qui, un frammento del muro, esposto in una teca, ci riporta alla forza di quell’evento storico: persino i bambini picconavano e i loro colpi, racconta Orsi, non riuscivano neanche a scalfirne un po’, ma ci fanno sentire la potenza di quel momento.
Un’ultima sezione, su sfondo ocra, ci introduce ai ritratti e quindi ai suoi incontri, e a quei pensieri-dice Orsi- che ogni incontro fa scaturire. Uno su tutti, forse perché ne racconta lui stesso, il ritratto di Sandro Pertini, nella sala del Quirinale, mentre è seduto intento a leggere il giornale alla scrivania: il Presidente quasi scompare, se ne vede solo la testa mentre l’imponenza della sala lo sovrasta. Orsi racconta di aver pianto come un bambino senza freni, “come un dannato”, commosso, perché quello scatto non è stato solo un ritratto, ma un vero proprio atto d’amore.
Le sue immagini colpiscono per il loro sguardo particolare, laterale, capace di cogliere dettagli insoliti e sfumature ironiche. Non c’è romanticismo nei suoi scatti, ma una verità lucida e affettuosa che vale la pena di andare a scoprire.
Simona Cantoni