Le case del Celio
Esistono nel mondo monumenti eretti in nome della storia, complessi architettonici che la storia l’hanno segnata, edifici che la rappresentano, musei che quella stessa storia la custodiscono. Ci sono case che racchiudono storie e poi ci sono case che la storia la raccontano, attraverso l’eco delle voci di chi le ha abitate, vissute, rese immortali.
Giotto definì Roma “la città degli echi”, lei che di storia ne è pregna e ce la restituisce in ogni blocco di basalto, laterizio, ponte e colonna, in ogni tassello di mosaico, statua, cupola e arco che il tempo ha portato fino a noi. Roma, la città dei sette colli e delle mille contraddizioni: così fragile e così maestosa, tanto incompresa quanto amata, così “vecchia” e così moderna. Roma che trasuda eterna bellezza fin nelle fondamenta, perfino sottoterra. Sotto il caos, l’asfalto, il traffico e i palazzi vive un’altra citta… vive, sì. Perché lì si respira ancora la vita… c’è vita!
È proprio su uno dei famosi sette colli, il Celio, sotto gli archi medioevali che sovrastano il clivo di Scauro, l’antica strada che saliva al colle dalla depressione del Palatino, che si trova una piccola porticina anonima. Varcarne la soglia significa iniziare un viaggio nel tempo attraverso 400mq di stratificazioni archeologiche, oggi conosciute come le Case Romane del Celio. Mettetevi comodi allora, e diamo inizio al nostro viaggio che si snoda in un susseguirsi di stratificazioni edilizie che in quattro secoli hanno visto avvicendarsi diversi proprietari e destinazioni d’uso.
È il 111 d.C., è sera, il sole maestoso sta tramontando mentre una bellissima donna romana si sveste lentamente per bagnarsi nella vasca del balneum privato della sua domus. La sua pelle è liscia e chiara, tipica delle donne patrizie.
Nell’insula sopra di lei, nei primi anni del Duecento, i commercianti iniziano a chiudere le loro botteghe. Sono stanchi dopo la faticosa giornata che volge al termine, qualcuno si ritira negli alloggi sul soppalco, altri si trattengono nel retro per sbrigare le ultime faccende.
All’esterno, i membri di una famiglia del Trecento passeggiano sotto il portico affrescato della loro grande e lussuosa domus. Il proprietario intrattiene gli ospiti ai piedi del ninfeo, dove trova refrigerio dalla calura estiva. Un uomo, tra i primi romani cristiani, prega in ginocchio nella piccola cappella che la tradizione cristiana colloca sopra le tombe dei martiri Giovanni e Paolo. Nei primi anni del 400 d.C., il cristianesimo è ormai religione ufficiale a Roma, gli operai sono al lavoro, la Basilica dei Santi Giovanni e Paolo sta lentamente prendendo forma.
Qualcuno attraversando quei 400mq potrebbe constatare che non è rimasto nulla di tutto ciò.
Eppure loro sono lì, sottoterra, ben nascosti, ma ben visibili a chi sa guardare, immersi nel silenzio ma pronti a raccontare la loro storia a chi sa ascoltarne l’eco.
“Roma è la città degli echi” disse Giotto. Ebbene, forse lui li ascoltò davvero.
Gina Ingrassia